ATROPO - IN VIAGGIO PER IL NUOVO MONDO
Posted: Sat Jul 15, 2006 9:37 pm
Consultando le liste di Ellis Island mi sono imbattuto in alcuni dati che mi hanno ispirato questa storia assolutamente vera che qui racconto anche se il protagonista non è un Mosca.
In un certo senso mi sono identificato per questi motivi personali:
1) - il protagonista ha il mio stesso nome: Alberto
2) - la successione dei suoi quattro figli è identica a quella della nascita dei miei tre fratelli maggiori e mia (uno ogni anno per i primi tre - due femmine e un maschio - e cinque anni per il quarto cioè io).
3) - .... questo non lo dico
Questa storia rappresenta anche un altro aspetto della emigrazione: il fato (Atropo) che è pronto a infrangere i sogni di riscatto da una vita di miseria a cui i protagonisti di questo racconto tentavano di sfuggire.
Si svolge all'inizio del secolo scorso ma è di una attualità sconcertante.
ECCO LA STORIA
Alberto [Albert - Albrecht] Tesch, nacque in Pomerania (Prussia) Germania nel 1859. Venuto in un primo momento in Italia a cercare fortuna, incontra Emilia [Emilie], una bella ragazza italiana di sei anni minore di lui [che mi piace immaginare appunto emiliana di nascita come lascerebbe supporre il nome].
Alberto se ne innamora, la sposa e ottiene la cittadinanza italiana.
Dal felice matrimonio nascono in successione: Luisa nel 1887, Marta nel 1888, Paolina nel 1889 e infine cinque anni dopo nel 1894 il sospirato figlio maschio Ferdinado.
La felicità di Alberto è al culmine però anche le difficoltà economiche.
Le bocche da sfamare sono tante e al suo ultimo nato maschio sogna di dare un futuro migliore del suo cosa che certamente non gli consente il suo mestiere di bracciante agricolo.
Così Alberto all'età di 39 anni decide di tentare anche lui la fortuna nel Nuovo Mondo. Quella fortuna tante volte favoleggiata dai suoi compagni nei rari momenti di sosta nell'osteria del paese che qualche bicchiere di vino tingeva del suo colore rosa e rendeva alla portata di mano quasi palpabile.
Un suo compare gli dà un recapito di Chicago dove altri compaesani gli troveranno un lavoro e una sistemazione. Detto fatto.
Messi insieme tre fagotti con l'indispensabile Alberto parte con la sua famigliola alla volta di Genova dove pieni di sogni e di speranza si imbarcano sul "transatlantico FULDA" diretti in America.
Questa parola magica "AMERICA" come dire prosperità, felicità, libertà, avvenire ....
La famigliola è al colmo dell'eccitazione: non avevano ancora smaltito l'emozione e la fatica di viaggiare in treno con il fumo che li aveva rivestiti di una patina scura di fuliggine e le orecchie ancora piene dello sferragliare delle ruote sui binari ed ecco spalancarsi davanti a loro una città immensa stretta tra le montagne e il mare: GENOVA, la torre altissima del faro e dietro il mare!
Nessuno di loro aveva mai visto il mare e nemmeno una nave: questa poi una volta a bordo sembrava la piazza del loro paese affollata però di gente di tante nazioni diverse che parlavano lingue a loro incomprensibili e vestiti anche in fogge mai viste prima.
Le tre bambine erano molto incuriosite e nel contempo intimidite da tutte quelle novità che per difendersene scrutavano di sottecchi mentre erano indaffarate a tenere a bada il fratellino Ferdinando che faceva le bizze.
Si perchè la mamma lo aveva affidato alle loro cure per stare vicino al marito. In fondo a tutta quella eccitazione era preoccupata per la salute di Alberto che tossiva ogni tanto in uno strano modo e poi aveva una cera che non le piaceva, ma forse era dovuto ai disagi del viaggio in treno pensava per rincuorarsi. Dal fagotto delle provviste cercava le cose migliori per il marito a scapito dei figlioli.
La nave si staccò dal molo e lentamente trainata dai rimorchiatori uscì dal porto di Genova che intanto diventava sempre più piccola sempre più piccola fino a sparire del tutto anche il faro.
Adesso c'era solo mare da ogni parte si guardasse. Una angoscia sottile strinse il cuore di Emilia: l'ignoto che stavano per affrontare di colpo si materializzò davanti a lei in quella massa d'acqua sterminata che il sole tramontato rendeva plumbea. Emilia si rannicchiò tra le braccia forti di Alberto e strinse forte a sè il figlioletto più piccolo quasi volesse proteggerlo
da quella oscura forza fluttuante d'acque a cui avevano affidato il loro destino. Così si addormentò la famigliola la prima notte di viaggio in mare.
L'indomani mattina il sole splendeva alto sul mare liscio come olio. La nave si stava avvicinando alla costa lasciandosi dietro uno strascico di spuma: forse quella era l'America che altri dicevano così lontana? Ma no, che America, quella era Gibilterra spiegarono alcuni che già avevano fatto altre volte quel viaggio.Passata quella strettoia inizierà la vera traversata dell'oceano Atlantico. Emilia in cuor suo per la prima volta ebbe coscenza di essere ignorante; non le importava di non aver saputo fare la sua firma sui documenti di imbarco, ma adesso si accorgeva cosa voleva dire non sapere nemmemo leggere e davanti aveva un oceano.
I giorni si susseguivano tutti uguali e monotoni e l'acqua del mare sembrava avesse occupato tutta quanta la Terra finchè un giorno all'orizzonte apparve una striscia di terra che assomigliava stranamente a Genova quando la lasciarono lontana dietro di loro. Emilia però era molto preoccupata e l'arrivo a Ellis Island quel 25 Maggio del 1896 fu carico d'angoscia: il suo Alberto era malato e fu ricoverato all'inferneria mentre lei e i suoi figli erano trattenuti con gli altri passeggeri in quarantena dopo aver passato la visita medica e la disinfestazione.
Dopo poco più di una settimana i sogni di Alberto e di Emilia si tramutarono in tragedia: il 3 Giugno 1896 Alberto cessò di vivere. Una scarna data fu apposta sul registro di imbarco della nave "FULDA" nella colonna "DEAD": 3-6-(1896)
Qui finisce la storia e iniziano le domande: cosa ne fu di Emilia e dei suoi figli?
Riuscirono a sopravvivere senza il sostegno del padre?
Ferdinando fu cresciuto dalla madre o finì in un orfanatrofio o fu adottato? Luisa, Marta e Paolina che fine fecero?
Alberto Raffaele Mosca
15 Luglio 2006
In un certo senso mi sono identificato per questi motivi personali:
1) - il protagonista ha il mio stesso nome: Alberto
2) - la successione dei suoi quattro figli è identica a quella della nascita dei miei tre fratelli maggiori e mia (uno ogni anno per i primi tre - due femmine e un maschio - e cinque anni per il quarto cioè io).
3) - .... questo non lo dico
Questa storia rappresenta anche un altro aspetto della emigrazione: il fato (Atropo) che è pronto a infrangere i sogni di riscatto da una vita di miseria a cui i protagonisti di questo racconto tentavano di sfuggire.
Si svolge all'inizio del secolo scorso ma è di una attualità sconcertante.
ECCO LA STORIA
Alberto [Albert - Albrecht] Tesch, nacque in Pomerania (Prussia) Germania nel 1859. Venuto in un primo momento in Italia a cercare fortuna, incontra Emilia [Emilie], una bella ragazza italiana di sei anni minore di lui [che mi piace immaginare appunto emiliana di nascita come lascerebbe supporre il nome].
Alberto se ne innamora, la sposa e ottiene la cittadinanza italiana.
Dal felice matrimonio nascono in successione: Luisa nel 1887, Marta nel 1888, Paolina nel 1889 e infine cinque anni dopo nel 1894 il sospirato figlio maschio Ferdinado.
La felicità di Alberto è al culmine però anche le difficoltà economiche.
Le bocche da sfamare sono tante e al suo ultimo nato maschio sogna di dare un futuro migliore del suo cosa che certamente non gli consente il suo mestiere di bracciante agricolo.
Così Alberto all'età di 39 anni decide di tentare anche lui la fortuna nel Nuovo Mondo. Quella fortuna tante volte favoleggiata dai suoi compagni nei rari momenti di sosta nell'osteria del paese che qualche bicchiere di vino tingeva del suo colore rosa e rendeva alla portata di mano quasi palpabile.
Un suo compare gli dà un recapito di Chicago dove altri compaesani gli troveranno un lavoro e una sistemazione. Detto fatto.
Messi insieme tre fagotti con l'indispensabile Alberto parte con la sua famigliola alla volta di Genova dove pieni di sogni e di speranza si imbarcano sul "transatlantico FULDA" diretti in America.
Questa parola magica "AMERICA" come dire prosperità, felicità, libertà, avvenire ....
La famigliola è al colmo dell'eccitazione: non avevano ancora smaltito l'emozione e la fatica di viaggiare in treno con il fumo che li aveva rivestiti di una patina scura di fuliggine e le orecchie ancora piene dello sferragliare delle ruote sui binari ed ecco spalancarsi davanti a loro una città immensa stretta tra le montagne e il mare: GENOVA, la torre altissima del faro e dietro il mare!
Nessuno di loro aveva mai visto il mare e nemmeno una nave: questa poi una volta a bordo sembrava la piazza del loro paese affollata però di gente di tante nazioni diverse che parlavano lingue a loro incomprensibili e vestiti anche in fogge mai viste prima.
Le tre bambine erano molto incuriosite e nel contempo intimidite da tutte quelle novità che per difendersene scrutavano di sottecchi mentre erano indaffarate a tenere a bada il fratellino Ferdinando che faceva le bizze.
Si perchè la mamma lo aveva affidato alle loro cure per stare vicino al marito. In fondo a tutta quella eccitazione era preoccupata per la salute di Alberto che tossiva ogni tanto in uno strano modo e poi aveva una cera che non le piaceva, ma forse era dovuto ai disagi del viaggio in treno pensava per rincuorarsi. Dal fagotto delle provviste cercava le cose migliori per il marito a scapito dei figlioli.
La nave si staccò dal molo e lentamente trainata dai rimorchiatori uscì dal porto di Genova che intanto diventava sempre più piccola sempre più piccola fino a sparire del tutto anche il faro.
Adesso c'era solo mare da ogni parte si guardasse. Una angoscia sottile strinse il cuore di Emilia: l'ignoto che stavano per affrontare di colpo si materializzò davanti a lei in quella massa d'acqua sterminata che il sole tramontato rendeva plumbea. Emilia si rannicchiò tra le braccia forti di Alberto e strinse forte a sè il figlioletto più piccolo quasi volesse proteggerlo
da quella oscura forza fluttuante d'acque a cui avevano affidato il loro destino. Così si addormentò la famigliola la prima notte di viaggio in mare.
L'indomani mattina il sole splendeva alto sul mare liscio come olio. La nave si stava avvicinando alla costa lasciandosi dietro uno strascico di spuma: forse quella era l'America che altri dicevano così lontana? Ma no, che America, quella era Gibilterra spiegarono alcuni che già avevano fatto altre volte quel viaggio.Passata quella strettoia inizierà la vera traversata dell'oceano Atlantico. Emilia in cuor suo per la prima volta ebbe coscenza di essere ignorante; non le importava di non aver saputo fare la sua firma sui documenti di imbarco, ma adesso si accorgeva cosa voleva dire non sapere nemmemo leggere e davanti aveva un oceano.
I giorni si susseguivano tutti uguali e monotoni e l'acqua del mare sembrava avesse occupato tutta quanta la Terra finchè un giorno all'orizzonte apparve una striscia di terra che assomigliava stranamente a Genova quando la lasciarono lontana dietro di loro. Emilia però era molto preoccupata e l'arrivo a Ellis Island quel 25 Maggio del 1896 fu carico d'angoscia: il suo Alberto era malato e fu ricoverato all'inferneria mentre lei e i suoi figli erano trattenuti con gli altri passeggeri in quarantena dopo aver passato la visita medica e la disinfestazione.
Dopo poco più di una settimana i sogni di Alberto e di Emilia si tramutarono in tragedia: il 3 Giugno 1896 Alberto cessò di vivere. Una scarna data fu apposta sul registro di imbarco della nave "FULDA" nella colonna "DEAD": 3-6-(1896)
Qui finisce la storia e iniziano le domande: cosa ne fu di Emilia e dei suoi figli?
Riuscirono a sopravvivere senza il sostegno del padre?
Ferdinando fu cresciuto dalla madre o finì in un orfanatrofio o fu adottato? Luisa, Marta e Paolina che fine fecero?
Alberto Raffaele Mosca
15 Luglio 2006