LE NOSTRE RADICI

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LE NOSTRE RADICI

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Le nostre Radici
Di Don Giovanni Meloni
Tratto dal libro: SPINONE l’ambiente, il lago, i ricordi 1984

"Non dobbiamo credere che nel passato la gente prendesse le cose "alla carlona" e non sapesse trasmettere alle generazioni future la realtà della vita.
Quando si prendono in mano questi registri secolari, scritti in un latino decadente ma comprensibilissimo, inchiostro sbiadito dai secoli e rilegature a mano in cuoio o pergamena, non si può fare a meno di sfogliarli con rispetto e commozione.
Per secoli, giorno dopo giorno, essi registrano gli arrivi e le partenze della scena di questo mondo; il fecondo sbocciare della vita benedetto da Dio, il tramonto ineluttabile dell'esistenza terrena. E dietro quelle calligrafie la gioia e la sofferenza del padre comune, il Parroco, che registra il fluire della sua comunità.
Vi scopriamo gli stessi pensieri, desideri e speranze, gioie e dolori della nostra esistenza. La mente non può ricostruire quelle fisionomie mai vedute, ma in quelle calligrafie l'uomo moderno si specchia e scopre non solo lo stesso nome e cognome, ma anche lo stesso desiderio di vivere in un mondo migliore, la stessa ansia di giustizia di pace e di libertà.
Uguali e diversi, nella gioia e nel dolore.
Come non commuoversi pensando che quando il parroco faceva quelle registrazioni le persone erano lì presenti nella gioia del Battesimo e delle Nozze o nel dolore della Morte? Morte che arrivava troppo frequente e troppo presto. Morte che ghermiva in tenera età. Morte che arrivava ineluttabile perchè non c'erano i mezzi per contrastarla. Come non commuoversi rileggendo l'età e la causa di morte di tanti bambini da lungo attesi e subito perduti perchè povertà e miseria erano il pane quotidiano? Drammi fissati per sempre in brevi concise espressioni dalla penna del Parroco: "morto nel nascere, nato morto, morto appena nato, morto un’ora dopo, dopo un giorno, dopo pochi mesi; morto di febbre verminosa, di febbre acuta, di postema, di stravaso sanguigno, di enfiagione, di debolezza, di gastroenterite, di cattiva organizzazione del corpo”.
E come non commuoversi sulle loro tragedie improvvise: morto in guerra, trovato ucciso, caduto dalle scale, sommerso nel lago, morto sulla forca, colpito dal calcio del mulo, travolto dalla slavina, ucciso dal freddo, morto di stenti, morto all’estero”.
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Ed anche le sciagure naturali che volevano dire altra miseria:”da sei mesi non piove, è arrivata la pioggia ma insieme la grandine che ha distrutto i raccolti; l’inverno ha toccato per settimane i 18 gradi, il freddo spacca le piante; un uragano ha scoperchiato il tetto della Chiesa; un incendio ha devastato la Cascina; la malattia ha ucciso le mucche…”.
Perfino l’ironia della sorte:”la vendemmia fu troppo abbondante, in questi paesi mai si fece uva così copiosa e sana. Il vino però alquanto scadente; di più, stante la penuria della moneta, le cantine rigurgitano di vino”.
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Di queste persone che hanno gioito e sofferto noi, ancora oggi, senza averli visti in faccia, conosciamo la data di nascita e di Battesimo, nome e cognome dei genitori e dei padrini, l’ostetrica che li ha fatti nascere e spesso li ha battezzati nel timore che non sopravvivessero, la data della Cresima e delle Nozze, i figli che hanno avuto e le vicende dei loro figli e dei nipoti e la causa della loro morte…perfino il lavoro che facevano: massaro, agricoltore, possidente, e la contrada o cascina
Dove abitavano e finanche il soprannome, scherzoso o caustico che la comunità loro affibiava quasi a renderle più identificabili e a sentirle più vicine.
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Troppo facilmente oggi si fa dell’ironia sul passato e si taccia d’ignoranza coloro che sono vissuti prima di noi, ma è a loro che dobbiamo le nostre radici, la nostra fede e la nostra cultura.
E’ vero che lo sguardo è volto al futuro ma non ci sarebbe futuro se non ci fosse un passato a far riflettere e a dirci che “la storia è sempre maestra di vita”.
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